Roberta e il senso, sorprendente, del presente.

E’ con rammarico profondo, ma soprattutto con una antipatica sensazione di dolorante ironia, che assisto a come, ora che siamo a un pelo – per scienza e coscienza – dal poter apprezzare l’individuo e il suo millenario cammino all’interno, per quanto sopra o sotto o di fianco, delle società che si è dato, proprio ora che siamo a un pelo, si scelga, articolando o facendosi articolo, di rinnovare l’inchino al presente, all’immodificabile, al fatale, al dio ( di spirito o di certezza, comunque certo e immutabilmente certo) del presente che pone e dispone in magnifica ognipotenza, in abiti di nostalgia o, al sommo dell’eleganza, di ‘cultura’ quella sui libri, benedetta come rivelanza e mai come grandiosa dubitanza. Mai come oggi, nel senso proprio di oggi, si è deciso di legarci all’oggi, al subito, ora o mai più, perdendo anche la cognizione del mai più e giocandosi, in pratica, anche la vertigine del poi che, poi, è quella che ci mantiene vivi. Sisifo si sente sulla cima del monte e scruta il panorama, e si aspetta dal panorama la salvazione dall’onere e dall’onore della fatica, credendosi liberato ma finendo a tentare di ingannare il senso, il sasso e anche gli dei, componendo  jodler di pizzo e merletto, noiosi come la morte. Ho solo la prefazione a quello che potrà accadere, e non è che sia poi così compiacente con l’autore che ancora non conosco e al libro che, una cosa è certa, non potrà mai essere rivelanza, perchè, se così fosse, andrebbe scritto e finirebbe per lasciarsi accalappiare dalla lusinga dell’oggi che si nutre di oggi e che si illude di salvarsi con l’oggi, anzi con l’ora, nel senso del subito. (scritto e non riletto, dedica compresa della quale però son certa e affettuosamente fiera)