Ponti.

palafitte

Niente più dell’acqua da il senso del peso effimero. Niente più dell’acqua descrive il passaggio, e le acque chete rovinano i ponti e i ponti poi crollano perchè è giusto così.

Due giorni, e Venezia è morta dentro di me. E’ morto Tadzio, col vestitiono logoro, è rimorto Gustav Aschenbach, ormai rimasto sena il Von che probabilmente non aveva ma meritato.

Ridatemi Palmira. intatta, e io  vi regalo Venezia, perchè io non so più dove comincia, e può e deve cominciare, il ‘punto di conservazione’, allora ridatemi Palmira, ridatemi qualche dio strano che mi somigli e che non tema la celiachia, e io, cambio, vi regaòp Venezia e le sue acque chete, che logorano i ponti, e i ponti che si si lasciano logorare per stanchezza, per eccesso di bellezza che è già  bruttura che potrebbe tornar dignitosa soltanto se cede, e deve cedere.

Ridatemi Palmira. E’ mia,  e vi regalo Venezia a due condizioni, assumentevi la responsabiltà dell’affondarla camminandoci sopra col vostro di dio che è peso e muto e stronzo quanto quello che assunse il leone, unico bestio di pietra, che vuole ora di poter ritornare pietra,e lo intuisco dal ghigno di bestio che bestio vorrerebbe crepar, senza quel Marco evangelista che da secoli lo ha ormai lasciato solo  travestito da agnello, per quanto ferino. E Lasciatemi il ponte, quello che non sospira, non rialza, non calle, non campiello, il ponte che apre e racconta, nelle curva di marmo, tutto il marmo, e nelle scale di vetro tutto il vetro, e nella campata che campa tutto quello che le acque chete, per ora, e fino al misterioso punto di conservazione, sapranno campare, e campando camperemo. Lasciatemi quel ponte,ridatemi Palmira, e quel ponte lo voglio che poggi, sulla terra di solida terra, e finisca dritto dritto nel ricordo che conserverò, che non porti che all’acqua, che affondi Venezia, perchè è giusto così, perchè e umano così, perchè è necessario così. Senza l’affanno di cercare bellezza, camminando su l’acqua cheta che vi lascio in cambio del deserto che mi consola, Assumetevi voi la responsabilità di affondare Venezia  ma fatelo presto, perchè per pudore, terrore, vertigine io non posso, senza un languore banale. Chè Venezia torni, e cheta, tra le acque chete. Io  non posso desiderarne la distruzione totale così come in verità le desidero, ridatemi Palmira e so che sarò più libera. Lasciatemi il ponte che. moderno va e racconta e unisce la riva, la terra al mare che deve riprendersela, e almeno mi lascia lo sguardo, da occidente a oriente, libero, paurosamente libero, e io e il leone torniamo, senza la maschera e senza il dovere di sentirsi rivelati, a guardare un mare aperto, Profondo, pericoloso, terribile, ma aperto. Aperto.  Roberta Anguillesi.

( il Ponte è quello di Calatrava, che ringrazio.)